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Pietra Parcellara e Pietra Perduca

Aggiornamento: 3 feb 2023

Questa è una passeggiata in un ambiente pervaso di mistero, forse di magia. La conformazione del luogo è strana, inquietante, attorno a una cuspide di scabra roccia che emerge dal morbido paesaggio argilloso delle colline di Piacenza, all’inizio dell’Appennino. Si chiama Pietra Parcellara la nostra meta ed è un grosso panettone di ofiolite (una roccia serpentinosa che viene dalle viscere della Terra) che per cause legate alla diversa intensità dell’erosione dei suoli è rimasta sola a troneggiare sul paesaggio. L’ambiente circostante ospita ben sette habitat naturali esclusivi, dovuti proprio alla natura del suolo e alle condizioni microclimatiche. Un luogo così ha coinvolto ben presto la fantasia popolare e la superstizione. Accanto alla Pietra Parcellara c’è un’altra ‘pietra’. Si chiama Perduca e si riconosce per la sua chiesuola eremita e per i misteriosi ‘letti dei Santi’, scavati nella roccia.


Tempo di percorrenza: 2 ore e 30 minuti. 

Distanza: 8,2 km. 

Dislivello: 400 metri circa. 

Altezza massima: 730 metri alla chiesuola della Parcellara. 

Segnavia: discontinuo; nel tratto terminale segnavia Cai 167.

Molto fango in caso di piogge recenti. 

Periodo più indicato: tutto l’anno, salvo il pieno dell’estate, nelle ore calde. 


Punto di partenza e di arrivo: Pietra (44°50’56.5”N – 09°28’23.7”E), frazione di Travo (PC).

Si raggiunge in auto da Milano seguendo l’autostrada A1 fino al casello di Piacenza Sud, quindi un tratto della statale 45 ‘della Val Trebbia’ fino alla diramazione per Travo. Da Travo si segue la strada secondaria per Ca’ del Monte, Termine Grosso. Le case di Pietra si trovano circa 2 km dopo Termine Grosso. Mobilità dolce: in bus si può arrivare da Piacenza a Perino (autolinea ACAP per Bobbio); da Perino si raggiunge la Pietra Parcellara e il nostro itinerario con il segnavia 167.




Si prendono le mosse dall’agriturismo La Greppia(44°50’56.5”N – 09°28’23.7”E, alt. 660) 1 seguendo la rotabile, verso monte. Dopo pochi passi, alla biforcazione, si segue lo stradello sterrato di sinistra che costeggia la base settentrionale della Pietra, della quale si iniziano ad osservare le bizzarre morfologie. Si trascura anche il percorso diretto verso la vetta. Più avanti il tracciato intercetta una dorsale e inizia una lunga discesa verso la Pietra Perduca, ben distinguibile anch’essa per le forme scabre e per l’oratorio che solitario campeggia accanto alla tondeggiante vetta. Intanto il panorama si estende a tutta la china collinare di Travo e delle sue frazioni, all’impluvio del torrente Dorba, tributario del Trebbia.

Raggiunto un bivio (44°50’57.95”N – 09°29’11.54”E, alt. 549) 2 ,al quale torneremo, si segue a sinistra la breve diversione per l’oratorio della Perduca (44°51’04.53”N – 09°29’19.79”E, alt. 547) 3, preceduto da un’area di sosta con tavoli in legno. La piccola costruzione sembra quasi che cerchi di esorcizzare i misteri pagani delle due vicine ‘pietre’. Di suo non ha nulla di notevole, ma è il contesto a creare suggestione: le poche e resistenti pianticelle che mettono radici fra le pietre, il senso di desolazione ma anche di dominio rispetto al lontano orizzonte, il silenzio e la rispettosa lontananza degli abitati, il volo lento e maestoso di qualche grosso rapace.



Sopra la chiesuola si trovano, incavate nella roccia, delle vasche rettangolari, abitate da simpatici tritoni. Non se ne sono mai viste così altrove. I contadini le hanno chiamate ‘letti dei santi’, perché giustamente pensano che fra un miracolo e l’altro anch’essi abbiano bisogno di un po’ di riposo; altri credono si tratti di contenitori per l’acqua piovana. Ma a quale scopo? Forse la riserva vitale di insediamenti primitivi che per motivi di difesa prediligevano le vette ai fondovalle.

Ma torniamo un attimo ai tritoni. Questi draghetti si osservano in primavera quando danno vita alla loro parata nuziale. Si corteggiano e fanno a gara per sembrare più attraenti anche se, alla fine, la danza non si conclude in un amplesso. I maschi si limitano a depositare una piccola massa di spermatozoi nell’acqua, dinanzi alla femmina. Questa premendovi sopra la cloaca raccoglie il seme al suo interno e feconda le sue uova. Nelle vasche della Perduca si riproducono tutte e tre le specie di tritone presenti nel nord Italia: il tritone crestato, il tritone punteggiato e il tritone alpino.




Dall’oratorio si fa ritorno al bivio sopracitato e si prosegue nell’altra direzione verso le poche e semiabbandonate case di Montà (44° 50’51.00”N – 09°29’26.70”, alt. 505) 4. Ora si calca una stradella asfaltata, del tutto priva di traffico, con belle vedute sul fondovalle del Trebbia in procinto di raggiungere la pianura piacentina a Rivergaro. Guardando in quella direzione si potrebbe evocare la tremenda giornata del 25 dicembre 218 a.C. quando i Cartaginesi di Annibale ebbero ragione delle legioni romane di Scipione e di Sempronio aprendosi la via verso la penisola.

In tutta tranquillità si arriva in vista di Corbellino, altra manciata di case fra il verde dei campi. Prima di entrarvi si piega a sinistra (44° 50’31.50”N – 09°29’34.20”E) 4 su un’esile traccia campestre che più avanti si trasforma in sentiero lungo le siepi di delimitazione dei campi. (Se la vegetazione non consente di avanzare è bene retrocedere e continuare sull’asfalto, come indicato sulla cartina per aggirare tutta la zona su un percorso più lungo ma sicuro). Si passa sotto la recinzione di una sorgente captata e quindi si ritrova una più larga traccia carrabile che sbocca di nuovo sulla via asfaltata. In tal modo abbiamo aggirato le falde della Pietra Parcellara, dove si accumulano ingenti quantità di detriti, e ora ci proponiamo di ‘attaccarla’ dal lato di sud-est dove sale anche una stretta strada forestale indicata dal segnavia 167.





Noterete infatti, giunti a un’altezza di 600 metri (44°50’19.90”N – 09°28’54.26”E) 5, che un sentiero si stacca dalla strada, verso monte. È ripido, molto ripido, ma non pericoloso. Occorrono circa 20 minuti per guadagnare una insellatura, depressa fra due costole della pietra (44° 50’22.50”N – 09°28’48.60”, alt. 687) 6. Quella di sinistra si chiama Pietra Marciaper via della roccia che si sgretola sotto l’azione degli agenti atmosferici. Qui, a destra, si stacca il sentiero che segue la cresta e raggiunge la vetta in circa 30 minuti: lo si può percorrere con una certa attenzione perchè presenta alcuni passaggi sulla roccia e una breve ferrata.

La Pietra Parcellara è uno di quei capricci geologici che movimentano la monotonia dell’Appennino. In questo senso è simile alla Pietra di Bismantova, alle penne di San Leo e San Marino, ai Sassi di Rocca Malatina. È una cuspide scabra e repulsiva che affiora da un’armonia di colline verdi e intensamente lavorate. Sembra quasi estromessa con violenza dalle profondità del pianeta. Gli esperti chiamano ofiolite la sua scura roccia. Il termine viene dal greco ‘ophis’, serpente, per via della somiglianza alla pelle di un rettile e al colore scuro. Sono in effetti rocce che sono sgorgate dal magma che scuoteva gli strati interni del pianeta 150 milioni di anni fa.

I meno agguerriti possono procedere, come noi, lungo la via più battuta che ora rasenta, al limitare del bosco e dei campi, la base meridionale del rilievo. Rispettando il segnavia 167 si trascurano i vari sentieri che scendono al villaggio di Brodo (!) e, dopo una piacevole e ombrosa traversata, si arriva al cospetto dell’altra chiesuola (44°50’41.17”N – 09°28’21.67”, alt. 730) 7 che difende la pietra. Da essa, seguendo lo stradello di accesso, si arriva alla rotabile che, verso destra, in meno di 500 metri riporta all’agriturismo La Greppia.


Foto: Gabriele Balordi e Monika Rossi


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